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La figura storica di Matthias Defregger, il vescovo delle rappresaglie: dal libro “Le scomode verità nascoste nella II guerra Mondiale“ di Vincenzo Di Michele

15 Giugno 2025

Matthias Defregger, nato nel 1915 in Germania, cresce fra mura di convento e disciplina militare. Figlio di un colonnello, si fa largo nell’esercito tedesco: la sua è la 114a Divisione Cacciatori delle Alpi, addestrata a colpire e a punire. La guerra lo porta in Italia, dove i monti abruzzesi fanno da scenario a un crimine che il tempo non cancellerà.

Il paese di Filetto, provincia dell’Aquila, nell’agosto del 1944 vive giorni sospesi fra la paura e la speranza. I rapporti con i tedeschi sono tesi ma non ancora esplosi. Ma i partigiani attaccano il presidio tedesco, due soldati morti, due fuggiti in sidecar a chiedere rinforzi.

La rappresaglia di Filetto

Quando i tedeschi tornano, la vendetta è già scritta. Defregger guida l’operazione. Le donne, i bambini e i vecchi vengono separati: da una parte la pietà, dall’altra la carne da macello. Gli uomini validi, quindici in tutto, vengono condotti fuori dal paese, lungo la strada che porta ai Piani di Fugno. I testimoni raccontano di grida, di tentativi di fuga, di preghiere soffocate nel rumore delle mitragliatrici. Alcuni si fingono morti, respirano sotto cumuli di corpi, vedono il mondo annerirsi sotto il fumo dei roghi. I soldati tedeschi bruciano i cadaveri in una stalla, e poi appiccano il fuoco anche alle case: Filetto diventa un deserto di macerie.

La guerra finisce, ma la vita di Defregger riprende come se nulla fosse. Torna agli studi di filosofia e teologia, si inginocchia di nuovo davanti all’altare. Nel 1949 è ordinato sacerdote dal cardinale Faulhaber. Gli anni passano, le vesti da soldato lasciano il posto a quelle vescovili: nel 1968 diventa vescovo ausiliare a Monaco. Ma la verità è come un fiume carsico: non smette mai di scorrere.

Nel 1969, un’inchiesta del settimanale tedesco “Der Spiegel” riporta a galla il massacro di Filetto. Le testimonianze, i nomi, i luoghi: tutto viene ricostruito pezzo a pezzo. Anche la Procura di Francoforte apre un fascicolo, ma la giustizia tedesca si ferma davanti alla parola d’ordine di sempre: “esecuzione di ordini superiori”. Nel 1970, Defregger viene assolto in istruttoria. Per la legge, non c’è crudeltà, non c’è malvagità: solo la cieca obbedienza di un soldato.

Così, l’uomo che ordinò la carneficina di Filetto finisce i suoi giorni senza mai pagare il conto con la storia. Muore nel 1995, ottant’anni compiuti, in un letto di Monaco.

Nel riportare quanto accaduto Vincenzo Di Michele ha posto in evidenza questa triste storia con la lucidità e consapevolezza che la verità, per quanto scomoda, va comunque messa in luce.

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Il 12 settembre 1943, il Duce viene liberato dai paracadutisti tedeschi, celebrati dalla storia come eroi. Ma la realtà fu ben diversa: con accordi segreti tra il governo italiano di Badoglio e le forze naziste; attraverso ricatti, sotterfugi e taciti silenzi pianificarono una “liberazione” preconcordata senza alcuna resistenza

5 Giugno 2025

La storia nascosta raccontata di Vincenzo Di Michele  i sulla librazione di Mussolini a Campo Imperatore avvenuta il 12 settembre 1943,  a Campo Imperatore

 “Il 12 settembre 1943, il Duce viene liberato dai paracadutisti tedeschi, celebrati dalla storia come eroi. Ma la realtà fu ben diversa: con  accordi segreti tra il governo italiano di Badoglio e le forze naziste;  attraverso ricatti, sotterfugi e taciti silenzi pianificarono una “liberazione” preconcordata senza alcuna resistenza”.

Commenta Vincenzo Di Michele nel suo ultimo libro“Campo Imperatore 1943 – Quel falso mito della liberazione del Duce” “Non sempre le verità si decidono a maggioranza, soprattutto quando si affrontano tematiche dai contorni delicati e di estrema risonanza come quelle contenute nella presente opera. Ecco perché le nuove testimonianze, gli inediti e quant’altro utile in termine di ricerca, sono diventati necessari per rivedere storicamente ciò che concerne la permanenza e la liberazione di Mussolini al Gran Sasso nel settembre del 1943”.

 

In effetti il libro è davvero un significativo contributo per meglioconoscere uno dei periodi più bui e penosi della nostra storia nazionale, un buco nero con il quale ancora non facciamo del tutto i conti. Parliamo degli avvenimenti che interessarono l’Italia dal 25 luglio 1943, con la caduta del regime fascista, fino alla “liberazione” di Mussolini dalla “prigione” di Campo Imperatore, avvenuta il 12 settembre, che poi portò alla nascita della Repubblica di Salò e alle drammatiche conseguenze che ne seguirono. Un mese e mezzodenso di avvenimenti che cambiarono il corso della nostra storia, tra miserie morali e fughe dalle responsabilità, culminate in quell’8 settembre 1943, quando l’Italia andò allo sbando per l’inqualificabile comportamento del Re, del capo del Governo e del capo di Stato Maggiore, fuggiti da Roma a Brindisi senza aver lasciato ordini chiari e precisi alle nostre Forze Armate, rimaste in balia della reazione tedesca in Italia e nei diversi fronti di guerra. La pagina più nera della nostra storia patria, riscattata solo dalla lotta di Liberazione che recuperò la dignità del Paese, prodromo alla riconquista della libertà e alla nascita della Repubblica.


Il libro di Vincenzo Di Michele ci riporta a quei giorni, quando il prigioniero Mussolini,dall’isola della Maddalena tradottoil 28 agostosul Gran Sasso, fu dapprima detenuto alla “Villetta” di Fonte Cerreto e qualche giorno dopo all’albergo di Campo Imperatore. Accanto e intorno al Duce, nel corso della sua prigionia e fino alla sua “liberazione”, avvenuta il 12 settembre 1943, con la proditoria “Operazione Quercia” dei tedeschi, concertata dal generale Student con il maggiore Mors, a Campo Imperatore si aggira una fioritura di funzionari dello Stato ciascuno dei quali, rispetto ai propri doveri e alle proprie responsabilità, opera a suo piacimento, omettendo o modificando le disposizioni ricevute, a seconda delle personali convenienze o convinzioni, quali risultano i comportamenti di Polito, Meoli, Senise, Gueli, Faiola, ed altri ancora.


Sicché la catena di comando risulta svilita, praticamente aleatoria, e l’ordine di Badoglio di non far cadere vivo Mussolini in mani tedesche, dunque all’occorrenza di sopprimerlo – ma Badoglio sapeva pure che Mussolini, in base al patto d’armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre dal generale Castellano, avrebbe dovuto essere consegnato vivo agli Alleati! – non ha praticamente alcun séguito. Come non ha praticamente séguito l’ordine di trasferire Mussolini da Campo Imperatore a Fano Adriano, nel versante teramano, in vista d’un possibile imminente attacco tedesco. O come Gueli interpreta a suo modo la raccomandazione del capo della Polizia Senise di regolarsi “con prudenza” in caso d’attacco tedesco, tradotto praticamente nell’ordine “non sparate” quando il capitano Otto Skorzeny, sceso dal primo degli alianti tedeschi atterrati a Campo Imperatore e precipitatosi verso l’albergo, va a “liberare” Mussolini.

 

ll “fortilizio inespugnabile”, così definito dal medesimo Gueli per rassicurare Badoglio, non produce difesa o reazione alcuna in chi è a sua difesa, diventa una casa aperta ai militari del commando tedesco venuto dal cielo che in pochi minuti “liberano” Mussolini, fanno persino foto di gruppo con i militari italiani, caricano Mussolini su un monomotore biposto Fieseler Storch – sul quale pretende di salire e sale anche Skorzeny, l’avventato capitano delle SS fatto poi passare per eroe, mettendo a serio rischio il decollo, riuscito solo per la prodezza del pilota tedesco Heinrich Gerlach e per il favorevole andamento del terreno – lo portano a Pratica diMare e da quell’aeroporto un aereo trasferisce il Duce e Skorzeny al cospetto di Hitler.

 

Questo il contesto storico nel quale si muove Vincenzo Di Michele, rivedendo quei fatti ed i comportamenti di Alberto Faiola, tenente dei Carabinieri e comandante del corpo di guardia presso l’albergo di Campo Imperatore, dove Mussolini era detenuto con tutti i riguardi, come degli altri personaggi che ne furono protagonisti. L’autore porta in questa storia nuovi contributi e testimonianze inedite, come la dichiarazione del generale Soleti, espunta dal memoriale del 1944 recentemente pubblicato, che porta a confermare una “verità nascosta”, ossia “la complicità del governo Badoglio nella consegna di Mussolini ai tedeschi.” E per rafforzare la tesi della stranezza della liberazione del Duce concorrono le testimonianze del carabiniere Nelio Pannuti, di Karl Radl, aiutante di Skorzeny, nelle sue memorie pubblicate in Argentina, del pastore di Fano Adriano Alfonso Nisi, cugino del padre dell’autore, che giocava a carte con il Duce a Campo Imperatore, e di altre persone di Fano Adriano,Alfredo Petrucci e Francesco Riccioni), che frequentavano l’albergo perché amici di Faiola. Come pure l’autore, in relazione alla “segretezza” di chi fosse il prigioniero detenuto sul Gran Sasso, ne smonta l’attendibilità riferendo che la gente del posto in gran parte sapeva trattarsi di Mussolini, citando al riguardo fatti specifici e riportando una dettagliata testimonianza di Roberto Fatigati

 

Di quei giorni di prigionia del Duce vengono raccontati episodi di quotidianità, attraverso ricordi e memorie dei frequentatori e ospiti dell’albergo, o di chi ne aveva avuto conoscenza dalla loro viva voce (Giulio Riccioni). Il volume è arricchito da copie di documenti, come pure di riferimenti alla vicenda giudiziaria che anni dopo contrappose Faiola e Nisi.Un capitolo affronta il falso mito del capitano delle SS Otto Skorzeny, che nell’Operazione Quercia non ebbe alcuna funzione organizzativa, ma che egli utilmente ne utilizzò l’esito positivo davanti ad Hitler, che lo promosse e decorò, costruendo di sé un’immagine eroica senza fondamento, durata anni.

 

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Quel falso mito sulla liberazione del Duce– Edizioni Vincenzo Di Michele, Roma, 2025, pagine 192, € 12 

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“QUEL FALSO MITO DELLA LIBERAZIONE DEL DUCE”, IL NUOVO LIBRO DI VINCENZO DI MICHELE La controversa storia dell’operazione Quercia dei tedeschi, 12 settembre 1943, a Campo Imperatore

26 Maggio 2025

“QUEL FALSO MITO DELLA LIBERAZIONE DEL DUCE”, IL NUOVO LIBRO DI VINCENZO DI MICHELE La controversa storia dell’operazione Quercia dei tedeschi, 12 settembre 1943, a Campo Imperatore

È uscito da qualche giorno ed è acquistabile su tutte nelle Librerie online, anche in formato e-book, e nelle edicole“Campo Imperatore 1943 – Quel falso mito della liberazione del Duce”, il nuovo libro di Vincenzo Di Michele, con sottotitolo Gli accordi segreti dietro la leggendaria impresa di Skorzeny e dei paracadutisti tedeschi, Edizioni Vincenzo Di Michele. L’Autore, che più volte si è cimentato con numerose opere su temi storici e questioni spinose riguardanti fatti ed eventi della Seconda Guerra mondiale (per brevità cito soloIo prigioniero in Russia, 60mila copie vendute, con diversi premi ricevuti per la memoria storica), apre il volumecon questo suo assunto: “Non sempre le verità si decidono a maggioranza, soprattutto quando si affrontano tematiche dai contorni delicati e di estrema risonanza come quelle contenute nella presente opera. Ecco perché le nuove testimonianze, gli inediti e quant’altro utile in termine di ricerca, sono diventati necessari per rivedere storicamente ciò che concerne la permanenza e la liberazione di Mussolini al Gran Sasso nel settembre del 1943”.

 In effetti il libroè davveroun significativo contributo per meglioconoscere uno dei periodi più bui e penosi della nostra storia nazionale, un buco nero con il quale ancora non facciamo del tutto i conti. Parliamo degli avvenimenti che interessarono l’Italia dal 25 luglio 1943, con la caduta del regime fascista, fino alla “liberazione” di Mussolini dalla “prigione” di Campo Imperatore, avvenuta il 12 settembre, che poi portò alla nascita della Repubblica di Salò e alle drammatiche conseguenze che ne seguirono. Un mese e mezzodenso di avvenimenti che cambiarono il corso della nostra storia, tra miserie morali e fughe dalle responsabilità, culminate in quell’8 settembre 1943, quando l’Italia andò allo sbando per l’inqualificabile comportamento del Re, del capo del Governo e del capo di Stato Maggiore, fuggiti da Roma a Brindisi senza aver lasciato ordini chiari e precisi alle nostre Forze Armate, rimaste in balia della reazione tedesca in Italia e nei diversi fronti di guerra. La pagina più nera della nostra storia patria, riscattata solo dalla lotta di Liberazione che recuperò la dignità del Paese, prodromo alla riconquista della libertà e alla nascita della Repubblica.

Il libro di Vincenzo Di Michele ci riporta a quei giorni, quando il prigioniero Mussolini,dall’isola della Maddalena tradottoil 28 agostosul Gran Sasso, fu dapprima detenuto alla “Villetta” di Fonte Cerreto e qualche giorno dopo all’albergo di Campo Imperatore. Accanto e intorno al Duce, nel corso della sua prigionia e fino alla sua “liberazione”, avvenuta il 12 settembre 1943, con la proditoria “Operazione Quercia” dei tedeschi, concertata dal generale Student con il maggiore Mors, a Campo Imperatore si aggira una fioritura di funzionari dello Stato ciascuno dei quali, rispetto ai propri doveri e alle proprie responsabilità, opera a suo piacimento, omettendo o modificando le disposizioni ricevute, a seconda delle personali convenienze o convinzioni, quali risultano i comportamenti di Polito, Meoli, Senise, Gueli, Faiola, ed altri ancora.

Sicché la catena di comando risulta svilita, praticamente aleatoria, e l’ordine di Badoglio di non far cadere vivo Mussolini in mani tedesche, dunque all’occorrenza di sopprimerlo – ma Badoglio sapeva pure che Mussolini, in base al patto d’armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre dal generale Castellano, avrebbe dovuto essere consegnato vivo agli Alleati! – non ha praticamente alcun séguito. Come non ha praticamente séguito l’ordine di trasferire Mussolini da Campo Imperatore a Fano Adriano, nel versante teramano, in vista d’un possibile imminente attacco tedesco. O come Gueli interpreta a suo modo la raccomandazione del capo della Polizia Senise di regolarsi “con prudenza” in caso d’attacco tedesco, tradotto praticamente nell’ordine “non sparate” quando il capitano Otto Skorzeny, sceso dal primo degli alianti tedeschi atterrati a Campo Imperatore e precipitatosi verso l’albergo, va a “liberare” Mussolini.

 ll “fortilizio inespugnabile”, così definito dal medesimo Gueli per rassicurare Badoglio, non produce difesa o reazione alcuna in chi è a sua difesa, diventa una casa aperta ai militari del commando tedesco venuto dal cielo che in pochi minuti “liberano” Mussolini, fanno persino foto di gruppo con i militari italiani, caricano Mussolini su un monomotore biposto Fieseler Storch – sul quale pretende di salire e sale anche Skorzeny, l’avventato capitano delle SS fatto poi passare per eroe, mettendo a serio rischio il decollo, riuscito solo per la prodezza del pilota tedesco Heinrich Gerlach e per il favorevole andamento del terreno – lo portano a Pratica diMare e da quell’aeroporto un aereo trasferisce il Duce e Skorzeny al cospetto di Hitler.

 Questo il contesto storico nel quale si muove Vincenzo Di Michele, rivedendo quei fatti ed i comportamenti di Alberto Faiola, tenente dei Carabinieri e comandante del corpo di guardia presso l’albergo di Campo Imperatore, dove Mussolini era detenuto con tutti i riguardi, come degli altri personaggi che ne furono protagonisti. L’autore porta in questa storia nuovi contributi e testimonianze inedite, come la dichiarazione del generale Soleti, espunta dal memoriale del 1944 recentemente pubblicato, che porta a confermare una “verità nascosta”, ossia “la complicità del governo Badoglio nella consegna di Mussolini ai tedeschi.” E per rafforzare la tesi della stranezza della liberazione del Duce concorrono le testimonianze del carabiniere Nelio Pannutti, di Karl Radl, aiutante di Skorzeny, nelle sue memorie pubblicate in Argentina, del pastore di Fano AdrianoAlfonso Nisi, cugino del padre dell’autore, che giocava a carte con il Duce a Campo Imperatore, e di altre persone di Fano Adriano,Alfredo Petrucci e Francesco Riccioni), che frequentavano l’albergo perché amici di Faiola. Come pure l’autore, in relazione alla “segretezza” di chi fosse il prigioniero detenuto sul Gran Sasso, ne smonta l’attendibilità riferendo che la gente del posto in gran parte sapeva trattarsi di Mussolini, citando al riguardo fatti specifici e riportando una dettagliata testimonianza di Roberto Fatigati

Di quei giorni di prigionia del Duce vengono raccontati episodi di quotidianità, attraverso ricordi e memorie dei frequentatori e ospiti dell’albergo, o di chi ne aveva avuto conoscenza dalla loro viva voce (Giulio Riccioni). Il volume è arricchito da copie di documenti, come pure di riferimenti alla vicenda giudiziaria che anni dopo contrappose Faiola e Nisi.Un capitolo affronta il falso mito del capitano delle SS Otto Skorzeny, che nell’Operazione Quercia non ebbe alcuna funzione organizzativa, ma che egli utilmente ne utilizzò l’esito positivo davanti ad Hitler, che lo promosse e decorò, costruendo di sé un’immagine eroica senza fondamento, durata anni. 

Vincenzo Di Michele, con un’analisi puntuale dei fatti e delle circostanze, così in sintesi deduce: “Il 12 settembre 1943, il Duce viene liberato daiparacadutisti tedeschi, celebrati dalla storia come eroi. Mala realtà è ben diversa: accordi segreti tra il governoitaliano di Badoglio e le forze naziste, ricatti, sotterfugi, e una “liberazione” preconcordata senza alcuna resistenza”.E d’altronde come poteva essere stato possibile, al lungo corteo di auto che da Roma portò il Re e il suo seguito ad Ortona per imbarcarsi sul Baionetta in fuga verso Brindisi, passare indenne lungo tutta la Tiburtina Valeria in un Abruzzo pieno di tedeschi, sulla linea Gustav e nelle retrovie? Ora in questo libro, attraverso testimonianze inedite e documenti emersi solodi recente, l’autore smonta il mitodell’Operazione Quercia, raccontando una verità che perdecenni è stata nascosta agli italiani. Una verità cheriscrive la storia e fa luce sulle responsabilità che portarono alla nascita della Repubblica di Salò e alle tragiche conseguenze che determinò.

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Quel falso mito sulla liberazione del Duce– Edizioni Vincenzo Di Michele, Roma, 2025, pagine 192, € 12 

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Tragedie della Seconda Guerra Mondiale: l’eccidio di Cefalonia raccontato da Vincenzo Di Michele La scelta fatale della Divisione Acqui

23 Maggio 2025

Settembre 1943. L’armistizio italiano è appena stato annunciato e i soldati della Divisione Acqui, di stanza nell’isola greca di Cefalonia devono decidere del proprio destino, ma si trovano in balia degli eventi. Non ricevono direttive precise, i collegamenti con il comando centrale sono spezzati, e i tedeschi – un tempo alleati – iniziano a premere con insistenza. La situazione è confusa, tesa, carica di incertezze.

Rifiutare la resa, o combattere da nemici contro quelli che fino al giorno prima erano alleati: è una scelta lacerante. Una scelta che porterà a un massacro. Vincenzo Di Michele, nel suo libro Le scomode verità nascoste nella II Guerra Mondiale, ricostruisce con taglio lucido e documentato una delle più gravi tragedie belliche mai inflitte a soldati italiani da un esercito straniero.

L’autore scava nella responsabilità degli alti comandi italiani e nella colpevole ambiguità degli ordini ricevuti. La Divisione Acqui resta sola, brancolando nel buio perché da un lato il comando aveva ordinato di cessare le ostilità contro le forze alleate, senza però chiarire quale atteggiamento adottare verso i tedeschi.

Lo scontro

I tedeschi ordinarono agli ex alleati italiani di deporre le armi e arrendersi, ma alcuni degli ufficiali si contrapposero facendo leva sulla superiorità numerica, anche se 12.000 italiani contro 2.000 tedeschi non significava alcunché, visto che la Germania aveva il controllo dei cieli, degli aeroporti greci e delle coste.

Il comando tedesco non perdona la scelta della Divisione Acqui di contrapporsi e resistere. Le truppe italiane, dopo giorni di combattimento, vengono sconfitte duramente. Ufficiali, sottufficiali, soldati: migliaia di italiani vennero uccisi nei giorni seguenti.

Il risultato è riassun­to in tantissime salme accatastate l’una sull’altra. Per parecchie notti il cielo s’illuminò a causa dei numerosi roghi. Montagne di cadaveri imbevuti di benzina bruciarono a lungo. Dopo interminabili ore di sterminio, l’ira nazista si placò con la vendetta e i tedeschi ritornarono indietro nelle loro decisioni, concedendo

la grazia ai detenuti superstiti.

I morti dimenticati e i prigionieri senza volto

Tra i morti, almeno 5.000 soldati italiani. Alcune stime parlano addirittura di 7.000 uomini. Non tutti morirono a Cefalonia. Molti furono caricati sulle navi tedesche  destinati ai campi di lavoro o ai lager.

Ma le navi non arrivarono mai a destinazione. Il secondo massacro avvenne in mare, per mano delle mine o dei siluri degli stessi Alleati, inconsapevoli del carico umano che stavano colpendo.

Secondo quanto ricostruito da Vincenzo Di Michele, oltre 4.000 italiani morirono affondando con quelle navi.

A bordo non c’erano solo soldati. C’erano anche le lettere mai spedite, le fotografie di famiglia, i pensieri scritti in fretta su pezzi di carta strappati. E c’erano sogni. Sogni di ritorno, di casa, di una vita diversa. Tutto si inabissò.

Il lavoro di Vincenzo Di Michele

Vincenzo Di Michele dà voce a quei fantasmi, a quegli uomini che morirono senza più lasciare traccia.

Il suo racconto si fa denso, toccante. Emergono testimonianze e documenti che parlano di una tragedia doppiamente censurata: prima dai comandi militari, poi dalla politica del dopoguerra. In quegli anni, l’Italia repubblicana era impegnata a rifondare sé stessa, e c’era chi preferiva non risvegliare il dolore di famiglie che avevano già pagato troppo.

Eppure quelle madri, quelle mogli, quei figli senza tomba, non smisero mai di chiedere verità, giustizia, riconoscimento, ma ottennero solo silenzio.

Verità taciute, giustizia mai compiuta

Vincenzo Di Michele non si limita a raccontare i fatti: li inserisce in un contesto più ampio, li collega alle responsabilità politiche e alle strategie del potere. La sua indagine mostra come la mancata punizione dei colpevoli dell’eccidio sia una ferita ancora aperta.

Gli ufficiali tedeschi responsabili dell’operazione vennero in molti casi reintegrati o mai processati. Solo una manciata di procedimenti giudiziari venne avviata, molti anni dopo, e senza esiti rilevanti.

Le vittime, invece, continuarono a essere numeri su carte ingiallite. Alcuni familiari si ostinarono a mantenere viva la memoria con fotografie e lettere pubblicate su giornali locali. Ma nessun tribunale ha mai chiamato alla sbarra gli esecutori materiali di quella strage, né i generali che la ordinarono.

 

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Interviene Vincenzo Di Michele in riferimento alla sua intervista rilasciata alla radio internazionale Russa “LA VOCE DELLA RUSSIA”. Il figlio di un soldato italiano: “si deve dare onore alla Russia”

21 Maggio 2025

In riferimento all’ 80° anniversario dalla fine della guerra della Germania nazista contro l’Unione Sovietica, che in Russia viene chiamata Grande Guerra Patriottica Vincenzo Di Michele ritorna in argomento e conferma quanto già affermato nel corso di un’intervista alla Radio internazionale russa” la Voce della Russia”.

“E allora dopo tanti anni , voglio ora scrivere a Ivan, Alexander, Vladimir, Andrej e a tutti i ragazzi Russi, allora poco più che ventenni: “noi soldati eravamo presenti, ma non disponevamo della padronanza delle nostre menti poiché il soldato semplice, ultima ruota come altre migliaia e migliaia, è tenuto solo a obbedire e combattere.”

(Brano tratto da “Io Prigioniero in Russia” di Vincenzo Di Michele – Testimonianza di Alfonso Di Michele, soldato Italiano nella campagna di Russia II guerra mondiale)

 “Si deve dare onore alla Russia”,- afferma il figlio del soldato, che combatté in Russia.

Il libro di Vincenzo Di Michele “Io, prigioniero in Russia” basato sul diario del suo padre Alfonso Di Michele e’ stato un vero successo per l’autore. La cifra di 60 mila copie  vendute è la dimostrazione dell’importanza di questa preziosa testimonianza storica. Il libro racconta la storia di un giovane ragazzo abruzzese che nel 1942 e’ stato mandato a combattere in Russia a ridosso del Fiume Don e ha sopravvissuto nella prigionia russa grazie paradossalmente alle donne russe.

Si riporta qui di seguito i tratti salienti dell’intervista

Corrispondente russo: Che cosa ha scoperto della Russia e dei russi mentre faceva la ricerca per il Suo libro, che non sapeva prima?

Vincenzo Di Michele: Un popolo di grande umanità. E’ stato sempre descritto nei libri di queste sofferenze patite dagli italiani per via dei russi. Indubbiamente, la guerra e’ guerra, ma quello che non sapevo e’ stata l’umanità, soprattutto delle mamme russe perchè se io devo raccontare per quale motivo io sono ancora in vita, lo devo alle mamme russe che hanno aiutato tanti, tanti italiani.

Corrispondente russo: Che impressione ha fatto la Russia sul protagonista del Suo libro e come si e’ sentito li?

Vincenzo Di Michele: La Russia era un agglomerato etnico nella Seconda Guerra Mondiale perchè allora esisteva l’Unione Sovietica. Questa storia l’ho dovuta rivivere attraverso i racconti di mio padre. E non si può negare come in queste migliaia di morti che ci sono stati,  neanche la Russia si aspettava l’enorme massa di prigionieri che avevano fatto. E poi si deve dire anche dire di un’altro racconto che nessuno mai mette in evidenza. Gli stessi russi hanno avuto milioni e milioni di morti perchè addirittura, se non erro sono stati 20 milioni, hanno avuto moltissime perdite umane. Tra i vari argomenti cito anche  un ragazzo ventenne tra i tanti, e le storie d’amore che si sono venute a verificare con dei prosegui nel tempo, un nuovo modo adesso di vedere questa storia.

Non piu racconti militari e racconti di guerra ma racconti di popoli, racconti di pace. Mio padre mi ha descritto le isbe e le mamme russe e quello che facevano veramente nella vita.

Corrispondente russo: Perchè a Suo avviso, oggi,  e’ ancora importante scrivere dei libri sulla Seconda Guerra Mondiale?

Vincenzo Di Michele: Perchè e’ importante il revisionismo storico. Fino adesso hanno descritto la Russia come un luogo di sofferenza dove sono morti tanti italiani. E’ vero, lo devo dire, sono morti tanti italiani e anche tanti russi però si deve dare onore alla Russia. Innanzitutto si deve dire , che è stato il popolo italiano che e’ andato li a combattere e quindi abbiamo invaso il loro territorio e poi la Russia  si è trovata  questa guerra in casa.

Nessuno poi ha mai messo in evidenza l’umanità di questo popolo, una grande umanità, e un grande aiuto e se io sono ancora qui è grazie   alle mamme russe e alle donne: “italiansky khorosho”. Grazie a loro, grazie alla Russia io ho raccontato nuovi particolari, e una nuova realtà storica che merita di essere approfondita.

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La storia sconosciuta della nave Laconia: una tragedia tutta Italiana raccontata da Vincenzo Di Michele

18 Aprile 2025

La storia sconosciuta della nave Laconia: una tragedia tutta Italiana raccontata da Vincenzo Di Michele

Per non dimenticare quelle vittime italiane inghiottite  dalle acque profonde  ormai consegnate alla storia. Commenta Vincenzo Di Michele autore del libro : Le scomode verità nascoste nella II guerra mondiale: “ in questa tragedia non affondarono soltanto corpi: sprofondò anche una parte della memoria italiana. Per anni, il loro destino rimase sepolto non solo sotto le onde, ma anche sotto il peso di una storia che preferiva dimenticare e l’indifferenza a volte ci fa dimenticare il dolore altrui”.

Il 12 settembre del 1942 i sommergibili tedeschi silurarono la nave inglese, con a bordo 1800 prigionieri italiani catturati nella battaglia di El Alamein.
Gli italiani erano ammassati nelle stive e lì rimasero intrappolati. Quando la nave cominciò ad affondare, i soldati inglesi chiusero le stive dove si trovavano i prigionieri, respingendo con le armi coloro che tentavano di raggiungere le lance di salvataggio. Le testimonianze di quei momenti sono state agghiaccianti: qualcuno dei prigionieri pare avesse tentato addirittura di suicidarsi battendo la testa contro le
pareti dello scafo. Con la forza della disperazione, si erano scagliati
anche contro i cancelli sbarrati davanti alle guardie, che non esitavano a respingerli a colpi di baionetta o a sparare a bruciapelo. L’orrore era poi proseguito
sul ponte della nave, dove avevano sparato sugli italiani che cercavano posto nelle scialuppe e ad alcuni erano anche stati recisi i polsi affinché non potessero
più arrampicarsi. Come se non bastasse, il sangue dei feriti aveva
richiamato sul posto gli squali della zona, che fecero scempio dei pochi vivi e dei cadaveri. Questa storia, comunque la si interpreti, non solo è una pagina
ben poco onorevole, ma è stata anche uno dei tanti misfatti di una guerra che purtroppo degenerò in atteggiamenti insensati oltre misura. Anche per questa
tragedia ci fu una duplice versione. Se si vede nella visuale degli Alleati lo definirono “l’incidente del Laconia”, mentre per le forze dell’Asse fu “la tragedia del Laconia.

L’affondamento della nave tedesca Wilhelm Gustloff: una pagina amara della seconda guerra mondiale scritta da Vincenzo Di Michele

18 Aprile 2025

L’affondamento della nave tedesca Wilhelm Gustloff

Una tragedia dimenticata della seconda guerra mondiale che Vincenzo Di Michele ha avuto il buon senso di riportare “a galla”, per non dimenticare, per dare giustizia a tutte quelle persone che sono state vittime di un conflitto sanguinario e poi come se niente fosse furono  inghiottite non solo dalle acque profonde, ma anche dall’indifferenza che troppe volte cala come una nebbia fitta sul dolore altrui.

Di seguito quanto scritto dallo storico Vincenzo Di Michele nel libro “Le scomode verità nascoste della II Guerra Mondiale”.

L’affondamento della nave tedesca “Wilhelm Gustloff” è stata la più grande tragedia navale di tutti i tempi, ma fino a oggi non è molto conosciuta, perché fu oggetto di interpretazioni forzate. I circa 9000 morti furono spesso stilizzati come martiri di una causa perduta, ma in verità anche loro furono vittime innocenti della guerra.

Fu affondata il 30 gennaio 1945 da un sommergi­bile sovietico nel Mare Baltico, portando con sé in fondo al mare migliaia di vittime. A vedere bene le cose, però, già il nome della nave era comprometten­te. Gustloff, infatti, era stato il capo dell’organizza­zione nazista in Svizzera, che fu assassinato nel 1936 da un ebreo. Questa nave, la più grande e moderna della marina civile tedesca, doveva portare un nome alquanto più simbolico: Adolf Hitler. Ma la super­stizione del Führer fece cambiare idea e fu scelto il nome di Wilhelm Gustloff. Con l’avvento della guer­ra la nave fu confiscata dalla marina militare.

Alla fine del 1944, a causa dell’avanzamento dei russi verso le coste del Mare Baltico, migliaia e mi­gliaia di civili tedeschi cercarono salvezza nei porti di Danzica e Gotenhafen, dove le navi tedesche li avrebbero tratti in salvo. Anche la Gustloff fu desti­nata al trasporto dei profughi. Tra i passeggeri c’era un po’ di tutto: allievi ufficiali, soldati feriti, donne marinaie ausiliari, donne, civili, vecchi e bambini. Inizialmente si era voluto limitare il numero mas­simo di passeggeri a tremila come capienza massi­ma, ma poi alla fine imbarcarono più di diecimila individui.  

Fu affondata da un sommergibile sovietico e tantis­sime persone rimasero intrappolate dentro la nave e affondarono con essa; altre perirono dopo alcuni mi­nuti nell’acqua gelida. Le vittime furono oltre 9000, tra cui ben 3000 bambini. Solo un migliaio e rotti fu­rono i sopravvissuti. La versione sovietica parlò della Gustloff come di una nave piena di soldati e arma­menti, e quindi di un legittimo bersaglio di guerra.

Campo Imperatore 1943. Quel falso mito sulla liberazione del Duce: Gli accordi segreti dietro la leggendaria impresa di Skorzeny e dei paracadutisti tedeschi.

10 Aprile 2025
Il Nuovo libro di Vincenzo Di Michele
 
E se la liberazione di Mussolini sul Gran Sasso fosse stata tutta una messa in scena?
Il 12 settembre 1943, il Duce viene liberato dai paracadutisti tedeschi, celebrati dalla storia come eroi. Ma la realtà è ben diversa: accordi segreti tra il governo italiano di Badoglio e le forze naziste, ricatti, sotterfugi, e una “liberazione” preconcordata senza alcuna resistenza. Attraverso testimonianze inedite e documenti emersi solo di recente, Vincenzo Di Michele smonta il mito dell’Operazione Quercia, raccontando una verità che per decenni è stata nascosta agli italiani. Una verità che riscrive la storia e fa luce sulle responsabilità italiane nella creazione della Repubblica Sociale e nell’inasprimento della guerra civile.
 
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Campo Imperatore 1943. Quel falso mito sulla liberazione del Duce

Video: il falso mito dello stadio di Wembley

3 Aprile 2025

Raccontiamo qualcosa di diverso ovverosia il falso mito dello stadio di Wembley dove a tal conto l’ ubicazione, la posizione, il contesto nonché lo sfondo architettonico mi hanno lasciato molto perplesso mentre al contrario in merito a ciò sia lo Stadio Olimpico sia lo Stadio Flaminio sono veramente meritevoli.

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Video: che colpa aveva Claretta Petacci se non quella di amare un uomo?

3 Aprile 2025

Rivediamo la storia, Aprile 1945 Milano Piazzale Loreto, che colpa aveva Claretta Petacci se non quella di amare un uomo?

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