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Interviene Vincenzo Di Michele in riferimento alla sua intervista rilasciata alla radio internazionale Russa “LA VOCE DELLA RUSSIA”. Il figlio di un soldato italiano: “si deve dare onore alla Russia”

21 Maggio 2025

In riferimento all’ 80° anniversario dalla fine della guerra della Germania nazista contro l’Unione Sovietica, che in Russia viene chiamata Grande Guerra Patriottica Vincenzo Di Michele ritorna in argomento e conferma quanto già affermato nel corso di un’intervista alla Radio internazionale russa” la Voce della Russia”.

“E allora dopo tanti anni , voglio ora scrivere a Ivan, Alexander, Vladimir, Andrej e a tutti i ragazzi Russi, allora poco più che ventenni: “noi soldati eravamo presenti, ma non disponevamo della padronanza delle nostre menti poiché il soldato semplice, ultima ruota come altre migliaia e migliaia, è tenuto solo a obbedire e combattere.”

(Brano tratto da “Io Prigioniero in Russia” di Vincenzo Di Michele – Testimonianza di Alfonso Di Michele, soldato Italiano nella campagna di Russia II guerra mondiale)

 “Si deve dare onore alla Russia”,- afferma il figlio del soldato, che combatté in Russia.

Il libro di Vincenzo Di Michele “Io, prigioniero in Russia” basato sul diario del suo padre Alfonso Di Michele e’ stato un vero successo per l’autore. La cifra di 60 mila copie  vendute è la dimostrazione dell’importanza di questa preziosa testimonianza storica. Il libro racconta la storia di un giovane ragazzo abruzzese che nel 1942 e’ stato mandato a combattere in Russia a ridosso del Fiume Don e ha sopravvissuto nella prigionia russa grazie paradossalmente alle donne russe.

Si riporta qui di seguito i tratti salienti dell’intervista

Corrispondente russo: Che cosa ha scoperto della Russia e dei russi mentre faceva la ricerca per il Suo libro, che non sapeva prima?

Vincenzo Di Michele: Un popolo di grande umanità. E’ stato sempre descritto nei libri di queste sofferenze patite dagli italiani per via dei russi. Indubbiamente, la guerra e’ guerra, ma quello che non sapevo e’ stata l’umanità, soprattutto delle mamme russe perchè se io devo raccontare per quale motivo io sono ancora in vita, lo devo alle mamme russe che hanno aiutato tanti, tanti italiani.

Corrispondente russo: Che impressione ha fatto la Russia sul protagonista del Suo libro e come si e’ sentito li?

Vincenzo Di Michele: La Russia era un agglomerato etnico nella Seconda Guerra Mondiale perchè allora esisteva l’Unione Sovietica. Questa storia l’ho dovuta rivivere attraverso i racconti di mio padre. E non si può negare come in queste migliaia di morti che ci sono stati,  neanche la Russia si aspettava l’enorme massa di prigionieri che avevano fatto. E poi si deve dire anche dire di un’altro racconto che nessuno mai mette in evidenza. Gli stessi russi hanno avuto milioni e milioni di morti perchè addirittura, se non erro sono stati 20 milioni, hanno avuto moltissime perdite umane. Tra i vari argomenti cito anche  un ragazzo ventenne tra i tanti, e le storie d’amore che si sono venute a verificare con dei prosegui nel tempo, un nuovo modo adesso di vedere questa storia.

Non piu racconti militari e racconti di guerra ma racconti di popoli, racconti di pace. Mio padre mi ha descritto le isbe e le mamme russe e quello che facevano veramente nella vita.

Corrispondente russo: Perchè a Suo avviso, oggi,  e’ ancora importante scrivere dei libri sulla Seconda Guerra Mondiale?

Vincenzo Di Michele: Perchè e’ importante il revisionismo storico. Fino adesso hanno descritto la Russia come un luogo di sofferenza dove sono morti tanti italiani. E’ vero, lo devo dire, sono morti tanti italiani e anche tanti russi però si deve dare onore alla Russia. Innanzitutto si deve dire , che è stato il popolo italiano che e’ andato li a combattere e quindi abbiamo invaso il loro territorio e poi la Russia  si è trovata  questa guerra in casa.

Nessuno poi ha mai messo in evidenza l’umanità di questo popolo, una grande umanità, e un grande aiuto e se io sono ancora qui è grazie   alle mamme russe e alle donne: “italiansky khorosho”. Grazie a loro, grazie alla Russia io ho raccontato nuovi particolari, e una nuova realtà storica che merita di essere approfondita.

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La storia sconosciuta della nave Laconia: una tragedia tutta Italiana raccontata da Vincenzo Di Michele

18 Aprile 2025

La storia sconosciuta della nave Laconia: una tragedia tutta Italiana raccontata da Vincenzo Di Michele

Per non dimenticare quelle vittime italiane inghiottite  dalle acque profonde  ormai consegnate alla storia. Commenta Vincenzo Di Michele autore del libro : Le scomode verità nascoste nella II guerra mondiale: “ in questa tragedia non affondarono soltanto corpi: sprofondò anche una parte della memoria italiana. Per anni, il loro destino rimase sepolto non solo sotto le onde, ma anche sotto il peso di una storia che preferiva dimenticare e l’indifferenza a volte ci fa dimenticare il dolore altrui”.

Il 12 settembre del 1942 i sommergibili tedeschi silurarono la nave inglese, con a bordo 1800 prigionieri italiani catturati nella battaglia di El Alamein.
Gli italiani erano ammassati nelle stive e lì rimasero intrappolati. Quando la nave cominciò ad affondare, i soldati inglesi chiusero le stive dove si trovavano i prigionieri, respingendo con le armi coloro che tentavano di raggiungere le lance di salvataggio. Le testimonianze di quei momenti sono state agghiaccianti: qualcuno dei prigionieri pare avesse tentato addirittura di suicidarsi battendo la testa contro le
pareti dello scafo. Con la forza della disperazione, si erano scagliati
anche contro i cancelli sbarrati davanti alle guardie, che non esitavano a respingerli a colpi di baionetta o a sparare a bruciapelo. L’orrore era poi proseguito
sul ponte della nave, dove avevano sparato sugli italiani che cercavano posto nelle scialuppe e ad alcuni erano anche stati recisi i polsi affinché non potessero
più arrampicarsi. Come se non bastasse, il sangue dei feriti aveva
richiamato sul posto gli squali della zona, che fecero scempio dei pochi vivi e dei cadaveri. Questa storia, comunque la si interpreti, non solo è una pagina
ben poco onorevole, ma è stata anche uno dei tanti misfatti di una guerra che purtroppo degenerò in atteggiamenti insensati oltre misura. Anche per questa
tragedia ci fu una duplice versione. Se si vede nella visuale degli Alleati lo definirono “l’incidente del Laconia”, mentre per le forze dell’Asse fu “la tragedia del Laconia.

L’affondamento della nave tedesca Wilhelm Gustloff: una pagina amara della seconda guerra mondiale scritta da Vincenzo Di Michele

18 Aprile 2025

L’affondamento della nave tedesca Wilhelm Gustloff

Una tragedia dimenticata della seconda guerra mondiale che Vincenzo Di Michele ha avuto il buon senso di riportare “a galla”, per non dimenticare, per dare giustizia a tutte quelle persone che sono state vittime di un conflitto sanguinario e poi come se niente fosse furono  inghiottite non solo dalle acque profonde, ma anche dall’indifferenza che troppe volte cala come una nebbia fitta sul dolore altrui.

Di seguito quanto scritto dallo storico Vincenzo Di Michele nel libro “Le scomode verità nascoste della II Guerra Mondiale”.

L’affondamento della nave tedesca “Wilhelm Gustloff” è stata la più grande tragedia navale di tutti i tempi, ma fino a oggi non è molto conosciuta, perché fu oggetto di interpretazioni forzate. I circa 9000 morti furono spesso stilizzati come martiri di una causa perduta, ma in verità anche loro furono vittime innocenti della guerra.

Fu affondata il 30 gennaio 1945 da un sommergi­bile sovietico nel Mare Baltico, portando con sé in fondo al mare migliaia di vittime. A vedere bene le cose, però, già il nome della nave era comprometten­te. Gustloff, infatti, era stato il capo dell’organizza­zione nazista in Svizzera, che fu assassinato nel 1936 da un ebreo. Questa nave, la più grande e moderna della marina civile tedesca, doveva portare un nome alquanto più simbolico: Adolf Hitler. Ma la super­stizione del Führer fece cambiare idea e fu scelto il nome di Wilhelm Gustloff. Con l’avvento della guer­ra la nave fu confiscata dalla marina militare.

Alla fine del 1944, a causa dell’avanzamento dei russi verso le coste del Mare Baltico, migliaia e mi­gliaia di civili tedeschi cercarono salvezza nei porti di Danzica e Gotenhafen, dove le navi tedesche li avrebbero tratti in salvo. Anche la Gustloff fu desti­nata al trasporto dei profughi. Tra i passeggeri c’era un po’ di tutto: allievi ufficiali, soldati feriti, donne marinaie ausiliari, donne, civili, vecchi e bambini. Inizialmente si era voluto limitare il numero mas­simo di passeggeri a tremila come capienza massi­ma, ma poi alla fine imbarcarono più di diecimila individui.  

Fu affondata da un sommergibile sovietico e tantis­sime persone rimasero intrappolate dentro la nave e affondarono con essa; altre perirono dopo alcuni mi­nuti nell’acqua gelida. Le vittime furono oltre 9000, tra cui ben 3000 bambini. Solo un migliaio e rotti fu­rono i sopravvissuti. La versione sovietica parlò della Gustloff come di una nave piena di soldati e arma­menti, e quindi di un legittimo bersaglio di guerra.

Campo Imperatore 1943. Quel falso mito sulla liberazione del Duce: Gli accordi segreti dietro la leggendaria impresa di Skorzeny e dei paracadutisti tedeschi.

10 Aprile 2025
Il Nuovo libro di Vincenzo Di Michele
 
E se la liberazione di Mussolini sul Gran Sasso fosse stata tutta una messa in scena?
Il 12 settembre 1943, il Duce viene liberato dai paracadutisti tedeschi, celebrati dalla storia come eroi. Ma la realtà è ben diversa: accordi segreti tra il governo italiano di Badoglio e le forze naziste, ricatti, sotterfugi, e una “liberazione” preconcordata senza alcuna resistenza. Attraverso testimonianze inedite e documenti emersi solo di recente, Vincenzo Di Michele smonta il mito dell’Operazione Quercia, raccontando una verità che per decenni è stata nascosta agli italiani. Una verità che riscrive la storia e fa luce sulle responsabilità italiane nella creazione della Repubblica Sociale e nell’inasprimento della guerra civile.
 
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Campo Imperatore 1943. Quel falso mito sulla liberazione del Duce

Video: il falso mito dello stadio di Wembley

3 Aprile 2025

Raccontiamo qualcosa di diverso ovverosia il falso mito dello stadio di Wembley dove a tal conto l’ ubicazione, la posizione, il contesto nonché lo sfondo architettonico mi hanno lasciato molto perplesso mentre al contrario in merito a ciò sia lo Stadio Olimpico sia lo Stadio Flaminio sono veramente meritevoli.

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Video: che colpa aveva Claretta Petacci se non quella di amare un uomo?

3 Aprile 2025

Rivediamo la storia, Aprile 1945 Milano Piazzale Loreto, che colpa aveva Claretta Petacci se non quella di amare un uomo?

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Video: una Venezia inaspettata

3 Aprile 2025

Vincenzo Di Michele presenta strade strette e panni stesi, elementi inizialmente associati a Napoli. Tuttavia, l’autore invita a osservare i nomi delle vie e lo stile delle trattorie, suggerendo un’altra possibile interpretazione. Si rivela che queste scene fanno parte della “vera Venezia”, quella dei suoi abitanti, in contrasto con l’immagine più turistica di piazza San Marco e delle gondole. Il video svela quindi un aspetto inaspettato e autentico della città lagunare.

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Video: una Parigi dolce dolce

3 Aprile 2025

Vincenzo Di Michele mostra una Parigi dedicata alla grande varietà di dolci disponibili, diverse vetrine piene di cioccolatini, torte e altre specialità. Ci sono tante altre attrazioni a Parigi da vedere, come la Torre Eiffel

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Le famiglie Italiane ancora piangono i Loro cari dispersi in Russia

29 Marzo 2025

La ritirata, i corpi mai ritrovati, le lettere mai arrivate, i lager sovietici e le fosse comuni: Migliaia e migliaia di soldati dissolti nel nulla

Tra le vicende più oscure della Seconda Guerra Mondiale si nasconde una pagina troppo poco raccontata, un dramma collettivo coperto da silenzi e polvere ideologica: quello degli italiani sul fronte russo. Migliaia di uomini mandati al macello e poi dimenticati, perché la loro sorte si incrociava con il marchio indelebile di una guerra combattuta “dalla parte sbagliata”.

Il gelo della steppa fu solo il primo tradimento. La ritirata, i corpi mai ritrovati, le lettere mai arrivate, i volti mai tornati. Una tragedia che non ha avuto né medaglie né memoria ufficiale, solo oblio.

Eppure, come spesso accade, qualcuno ha deciso di raccontare ciò che per decenni è rimasto sottotraccia. La storia non è fatta solo dai vincitori, ma anche da chi ha il coraggio di riscriverla alla luce dei fatti. È da questo intento che nasce un’opera che affonda le mani in ciò che tanti preferiscono non ricordare: “IO, PRIGIONIERO IN RUSSIA” scritto dallo storico Vincenzo Di Michele è il libro che ci ha aiutato ad aprire gli occhi su questa vicenda, una fonte preziosa per comprendere pienamente gli orrori della seconda guerra mondiale.

Un fronte gelido e dimenticato: la partenza verso l’ignoto

Partirono con l’illusione di andare incontro a una missione gloriosa. Si raccontava che sarebbero bastati pochi mesi per riportare a casa una vittoria. Invece si ritrovarono in un inferno, un fronte tanto lontano quanto spietato, dove il gelo non era solo climatico, ma anche umano e politico.

Vennero arruolati migliaia di italiani, spediti al fronte orientale a combattere una guerra che non comprendevano fino in fondo. Alpini, artiglieri, carristi, fanti e volontari: un mosaico di storie, paure e speranze presto frantumate sotto il peso della realtà. Il fiume Don diventò una linea sottile tra la vita e la morte, mentre la neve inghiottiva i sogni e il tempo si cristallizzava nel freddo.

E l’Italia, troppo impegnata a riscrivere il proprio destino, lasciò che questi uomini cadessero nell’oblio prima ancora che nella neve.

Non era solo il freddo a uccidere

I soldati italiani in Russia affrontarono temperature che sfioravano i -40 gradi, con scarponi inadeguati per quei territori, uniformi leggere e razioni di cibo che non bastavano a sfamare neanche un cane randagio. Dormivano nella neve, marciavano tra i cadaveri, combattevano con armi inadatte contro un nemico implacabile e un freddo che non sembrava conoscere limiti.

Chi tornò parlò di campi disseminati di uomini morti congelati. Le voci dei sopravvissuti raccontano storie disconosciute dalla narrazione ufficiale: né eroi né martiri, solo uomini esausti.

La ritirata si lasciò dietro una scia di morte. I documenti li chiamano “dispersi”, ma molti furono semplicemente ignorati. Tante madri e mogli non ebbero una tomba su cui piangere i propri cari, per anni attesero speransose un possibile ritorno a casa, ma nessuno si presentò mai a portare buone notizie o la conferma di una perdita, solo silenzio.

Ricordare è un atto di giustizia

C’è una verità che non si trova nei manuali scolastici, ma che brucia nelle testimonianze raccolte tra i superstiti. Parole smarrite tra i ghiacci, che oggi tornano a farsi sentire grazie a chi ha scelto di riportarle alla luce. Le storie degli italiani in Russia non sono favole di guerra, ma fendenti di realtà.

C’erano ragazzi che non avevano ancora vent’anni, mandati al macello e abbandonati a se stessi. C’erano interi reparti dispersi nel nulla, come se la neve li avesse inghiottiti. E poi c’erano gli altri, quelli tornati ma mai veramente accolti, perché l’etichetta politica di “fascisti” aveva tolto loro il diritto alla sofferenza.

La guerra li aveva distrutti nel corpo e il dopoguerra finiti nello spirito. Non una medaglia, non un grazie, per i dispersi nemmeno una tomba.

Ricordarli oggi è un atto di giustizia, non solo storica ma umana.

Restituire la dignità a chi è stato dimenticato

Quando la Storia ufficiale tace, c’è bisogno di chi ha il coraggio di svelare verità troppo a lungo dimenticate. E questo è ciò che fa il libro “IO, PRIGIONIERO IN RUSSIA”, un’opera che non si limita a raccontare, ma scava, indaga, svela. Un lavoro che restituisce dignità a chi è stato dimenticato e porta alla luce vicende che, per troppo tempo, sono state nascoste sotto il tappeto della convenienza.

Si tratta di un’opera che mette il lettore davanti a uno specchio: quello della coscienza collettiva. Leggerlo è come aprire un cassetto chiuso da anni e trovare dentro verità che ancora fanno male, ma che hanno bisogno di essere guardate in faccia.

Un libro che si fa testimone. Un autore Vincenzo Di Michele che, da buon storico, si fa ponte tra ciò che è stato e ciò che ancora oggi ci riguarda.

 

Lo scandalo degli esperimenti medici nella Seconda Guerra Mondiale, una verità sconvolgente raccontata da Vincenzo Di Michele

20 Marzo 2025

Non era il dott.Mengele,il solo che si macchiò di orrori senza pietà : c’erano anche gli altri eserciti in guerra

Durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre il mondo bruciava sotto i bombardamenti e milioni di vite venivano spezzate, dietro cancelli sbarrati e mura impenetrabili si consumava un’altra tragedia, fatta di aghi, bisturi e camere fredde, dove l’uomo diventava oggetto, carne da sezionare, organismo su cui misurare fino a che punto un essere umano potesse sopportare dolore e terrore. La scienza, in quel contesto, indossò il camice dell’orrore e si piegò agli istinti più bassi, travestiti da ricerca.

Gli scienziati di diversi schieramenti – non solo nazisti – si cimentarono in esperimenti che definire disumani è riduttivo. Furono anni in cui il confine tra ricerca e sadismo si fece talmente sottile da sparire quasi del tutto. Nessuno era più una persona: corpi, numeri, statistiche. Il male aveva trovato il modo di rendersi metodico.

Una scienza impazzita dietro il filo spinato

Non ci furono solo i laboratori di Auschwitz guidati da Josef Mengele, benché la sua figura resti emblematica. In quella stagione di follia, la scienza stessa sembrava aver smarrito la rotta, accettando di trasformarsi in uno strumento di tortura sistematica. I medici, quelli che avrebbero dovuto curare, finirono col tradire la loro vocazione, affondando le mani nella carne viva dei prigionieri, nel disperato tentativo di estrarre verità che nessuno aveva chiesto.

Josef Mengele: il volto della crudeltà in camice bianco

Il suo nome è diventato sinonimo di morte e crudeltà. Il dottor Mengele, ad Auschwitz, si aggirava tra i prigionieri come un predatore tra le prede. Era ossessionato dai gemelli, dai nani, dai deformi. Cercava soggetti che, a suo dire, potessero offrirgli uno spunto per migliorare la razza ariana. Li torturava con esperimenti che rasentavano l’assurdo: iniezioni negli occhi per cambiare il colore dell’iride, trasfusioni reciproche fino all’esaurimento delle forze vitali, mutilazioni eseguite a sangue freddo, senza anestesia. Alcuni gemelli venivano cuciti l’uno all’altro per creare “siamesi artificiali”. Altri morivano lentamente, infettati di proposito con malattie devastanti.

Mengele non cercava risposte scientifiche. Cercava, piuttosto, una soddisfazione sadica, travestita da studio.

L’inferno giapponese: Unità 731

Se la crudeltà nazista aveva un volto, quella giapponese aveva un numero: 731. In Manciuria, nell’Unità 731, gli scienziati nipponici si dedicarono con spietata dedizione alla ricerca sulle armi biologiche. Ma quella era solo la facciata. Dietro c’era il terrore puro: vivisezioni senza anestesia, amputazioni di arti sani, donne incinte squarciate vive per osservare lo sviluppo fetale, esperimenti di congelamento condotti fino alla morte. I prigionieri, chiamati “maruta” (pezzi di legno), venivano deliberatamente infettati con peste bubbonica e colera. Legati a pali in aperta campagna, erano bersagli per testare bombe batteriologiche.

Un orrore che non conobbe giustizia. Molti degli scienziati dell’Unità 731 scambiarono la loro immunità con il trasferimento dei loro studi agli Stati Uniti. Il patto col diavolo si firmava anche con la penna americana.

Il gelo negli occhi: esperimenti di congelamento nazisti

I cieli del fronte orientale erano freddi, letali. La Luftwaffe aveva bisogno di sapere quanto potessero resistere i propri piloti in caso di ammaraggio forzato nel Mare del Nord. La risposta la cercarono nei corpi nudi dei prigionieri di Dachau. Venivano immersi in vasche d’acqua gelida, monitorati mentre il calore della vita fuggiva lentamente dalle loro vene. Alcuni morivano dopo un’ora. Altri, quelli più sfortunati, sopravvivevano abbastanza da diventare cavie per esperimenti di rianimazione: bagni bollenti, impacchi, o il famigerato “riscaldamento umano”.

In questo ultimo caso, donne zingare venivano costrette a sdraiarsi nude accanto ai corpi rigidi dei congelati, cercando di riportarli alla vita col solo calore del loro corpo. Non si trattava solo di scienza, ma di una perversa messinscena di potere e sottomissione. E c’è di peggio: si testava se l’odore acre del sudore potesse stimolare il risveglio delle vittime.

La corsa alle armi invisibili: l’isola della morte e i laboratori sovietici

Gruinard Island, una macchia di terra scozzese, divenne sinonimo di morte invisibile. Qui, durante il conflitto, gli scienziati britannici sperimentarono l’uso dell’antrace come arma batteriologica. Le pecore morirono in pochi giorni. Il terreno rimase contaminato per quasi mezzo secolo. La guerra chimica era già cominciata e nessuno sembrava intenzionato a fermarla.

Dall’altra parte del continente, l’Unione Sovietica finanziava progetti che sembravano partoriti da menti allucinate. Il biologo Il’ja Ivanov tentò di creare un ibrido uomo-scimmia, un soldato instancabile e insensibile al dolore. Il sogno di Stalin era un esercito di automi biologici, capaci di ubbidire senza pensare. Il progetto fallì miseramente, ma resta il segno di un’epoca che aveva perso ogni barlume di moralità.

Per approfondire

C’è un libro che apre senza timore coperchi rimasti troppo a lungo sigillati. Si tratta di LE SCOMODE VERITÀ NASCOSTE NELLA II GUERRA MONDIALE del Dott. Vincenzo Di Michele. Non è una semplice cronaca, ma un viaggio attraverso l’oscurità di un conflitto che ha segnato l’umanità. Si affrontano i temi scomodi, le verità che fanno male e che pochi hanno il coraggio di raccontare.

Il Dott. Di Michele raccoglie testimonianze, documenti e riflessioni, mostrando con chiarezza le ombre che hanno avvolto anche le cosiddette “nazioni civilizzate”. Tra i capitoli più intensi, proprio quello sugli esperimenti umani: pagine che inchiodano la coscienza e obbligano a guardare negli occhi l’orrore.

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