Tragedie della Seconda Guerra Mondiale: l’eccidio di Cefalonia raccontato da Vincenzo Di Michele La scelta fatale della Divisione Acqui

Settembre 1943. L’armistizio italiano è appena stato annunciato e i soldati della Divisione Acqui, di stanza nell’isola greca di Cefalonia devono decidere del proprio destino, ma si trovano in balia degli eventi. Non ricevono direttive precise, i collegamenti con il comando centrale sono spezzati, e i tedeschi – un tempo alleati – iniziano a premere con insistenza. La situazione è confusa, tesa, carica di incertezze.

Rifiutare la resa, o combattere da nemici contro quelli che fino al giorno prima erano alleati: è una scelta lacerante. Una scelta che porterà a un massacro. Vincenzo Di Michele, nel suo libro Le scomode verità nascoste nella II Guerra Mondiale, ricostruisce con taglio lucido e documentato una delle più gravi tragedie belliche mai inflitte a soldati italiani da un esercito straniero.

L’autore scava nella responsabilità degli alti comandi italiani e nella colpevole ambiguità degli ordini ricevuti. La Divisione Acqui resta sola, brancolando nel buio perché da un lato il comando aveva ordinato di cessare le ostilità contro le forze alleate, senza però chiarire quale atteggiamento adottare verso i tedeschi.

Lo scontro

I tedeschi ordinarono agli ex alleati italiani di deporre le armi e arrendersi, ma alcuni degli ufficiali si contrapposero facendo leva sulla superiorità numerica, anche se 12.000 italiani contro 2.000 tedeschi non significava alcunché, visto che la Germania aveva il controllo dei cieli, degli aeroporti greci e delle coste.

Il comando tedesco non perdona la scelta della Divisione Acqui di contrapporsi e resistere. Le truppe italiane, dopo giorni di combattimento, vengono sconfitte duramente. Ufficiali, sottufficiali, soldati: migliaia di italiani vennero uccisi nei giorni seguenti.

Il risultato è riassun­to in tantissime salme accatastate l’una sull’altra. Per parecchie notti il cielo s’illuminò a causa dei numerosi roghi. Montagne di cadaveri imbevuti di benzina bruciarono a lungo. Dopo interminabili ore di sterminio, l’ira nazista si placò con la vendetta e i tedeschi ritornarono indietro nelle loro decisioni, concedendo

la grazia ai detenuti superstiti.

I morti dimenticati e i prigionieri senza volto

Tra i morti, almeno 5.000 soldati italiani. Alcune stime parlano addirittura di 7.000 uomini. Non tutti morirono a Cefalonia. Molti furono caricati sulle navi tedesche  destinati ai campi di lavoro o ai lager.

Ma le navi non arrivarono mai a destinazione. Il secondo massacro avvenne in mare, per mano delle mine o dei siluri degli stessi Alleati, inconsapevoli del carico umano che stavano colpendo.

Secondo quanto ricostruito da Vincenzo Di Michele, oltre 4.000 italiani morirono affondando con quelle navi.

A bordo non c’erano solo soldati. C’erano anche le lettere mai spedite, le fotografie di famiglia, i pensieri scritti in fretta su pezzi di carta strappati. E c’erano sogni. Sogni di ritorno, di casa, di una vita diversa. Tutto si inabissò.

Il lavoro di Vincenzo Di Michele

Vincenzo Di Michele dà voce a quei fantasmi, a quegli uomini che morirono senza più lasciare traccia.

Il suo racconto si fa denso, toccante. Emergono testimonianze e documenti che parlano di una tragedia doppiamente censurata: prima dai comandi militari, poi dalla politica del dopoguerra. In quegli anni, l’Italia repubblicana era impegnata a rifondare sé stessa, e c’era chi preferiva non risvegliare il dolore di famiglie che avevano già pagato troppo.

Eppure quelle madri, quelle mogli, quei figli senza tomba, non smisero mai di chiedere verità, giustizia, riconoscimento, ma ottennero solo silenzio.

Verità taciute, giustizia mai compiuta

Vincenzo Di Michele non si limita a raccontare i fatti: li inserisce in un contesto più ampio, li collega alle responsabilità politiche e alle strategie del potere. La sua indagine mostra come la mancata punizione dei colpevoli dell’eccidio sia una ferita ancora aperta.

Gli ufficiali tedeschi responsabili dell’operazione vennero in molti casi reintegrati o mai processati. Solo una manciata di procedimenti giudiziari venne avviata, molti anni dopo, e senza esiti rilevanti.

Le vittime, invece, continuarono a essere numeri su carte ingiallite. Alcuni familiari si ostinarono a mantenere viva la memoria con fotografie e lettere pubblicate su giornali locali. Ma nessun tribunale ha mai chiamato alla sbarra gli esecutori materiali di quella strage, né i generali che la ordinarono.

 

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