La liberazione di Mussolini al Gran Sasso: una messinscena della seconda guerra mondiale
il 12 settembre 1943 e le immagini degli incursori tedeschi che planano con gli alianti sulla cima del Gran Sasso fanno il giro del mondo. Benito Mussolini, catturato e isolato dai vertici monarchici dopo l’armistizio, viene liberato da un’azione fulminea e senza spargimento di sangue. Tutto sembra perfetto. Tutto sembra studiato per restare nella storia. Ma proprio questo dettaglio – l’apparente perfezione dell’operazione – fa sorgere dubbi che nel tempo diventano voragini.
Secondo la versione ufficiale, l’Operazione Quercia (Unternehmen Eiche), avvenuta il 12 settembre 1943, fu un’azione audace ed esemplare delle forze speciali tedesche, guidate dal famigerato capitano delle SS Otto Skorzeny, con il supporto dei paracadutisti della Wehrmacht. L’azione prevedeva il lancio di alianti sul massiccio del Gran Sasso per liberare Benito Mussolini, prigioniero dal 25 luglio per ordine del re Vittorio Emanuele III e del governo Badoglio.
Perché Mussolini non fu trasferito in una prigione segreta? Perché fu lasciato in un albergo facilmente localizzabile? E, soprattutto, perché l’operazione tedesca si concluse senza uno solo sparo?
Mussolini prigioniero o protetto?
La detenzione di Mussolini fu, fin dall’inizio, un enigma malcelato. Secondo il racconto di Vincenzo Di Michele nel libro Quel falso mito sulla liberazione del Duce, ciò che appare come una detenzione è in realtà una protezione mascherata, forse addirittura concordata.
Il Duce non fu consegnato agli Alleati, né condannato, né consegnato ai partigiani. Fu invece spostato da una località all’altra – Ponza, La Maddalena, Campo Imperatore – con modalità che più somigliavano a un pellegrinaggio di cortesia che a un trasferimento carcerario. Il suo soggiorno all’Hotel Campo Imperatore, pur inaccessibile per la sua altitudine, non era affatto segreto. I tedeschi, informati in modo dettagliato, non faticarono a localizzarlo.
Il sospetto, ampiamente documentato da Di Michele, è che la liberazione sia avvenuta senza opposizione reale perché non ci fu alcun vero desiderio di impedire che accadesse.
I silenzi di Badoglio e le contraddizioni del Regno del Sud
Dopo l’arresto di Mussolini, il maresciallo Badoglio assume il controllo del governo. Il re Vittorio Emanuele III, al suo fianco, si presenta come garante della restaurazione. Ma i nodi vengono al pettine in fretta. L’armistizio viene firmato di nascosto, comunicato tardi, gestito peggio. L’esercito si disgrega, l’Italia si spezza. E mentre le truppe tedesche prendono possesso del Centro-Nord, Mussolini resta in custodia dei carabinieri.
Eppure, come sottolinea Di Michele, non c’è un solo ordine preciso che imponga la sua messa in sicurezza, la sua protezione militare o il suo allontanamento reale dai rischi di una liberazione. Una serie di omissioni, di vuoti, di decisioni rimandate: è in questo contesto che la liberazione tedesca appare più come il compimento di un disegno condiviso, che non l’atto eroico di un blitz nemico.
Ci si chiede allora: fu davvero un colpo di mano, o fu una sceneggiatura ben scritta e ancor meglio recitata? La risposta non si trova nei bollettini militari, ma tra le righe della storia mai raccontata.
Tra messinscena e accordi sottobanco
Il capitolo dedicato a questo evento del libro di Vincenzo Di Michele solleva una questione cruciale: è possibile che la liberazione di Mussolini fosse stata “tollerata”, se non addirittura concordata, con una parte delle alte sfere italiane? È una tesi che può sembrare azzardata, ma che si fonda su indizi concreti.
Nessun telegramma d’emergenza, nessun piano di evacuazione, nessuna resistenza armata: tutto questo suggerisce che qualcuno sapeva, e decise di voltarsi dall’altra parte. Non si trattò solo di negligenza: fu un silenzio complice, una scelta deliberata.
Secondo Di Michele, lo stesso Hitler avrebbe ricevuto rassicurazioni informali sulla sorte del Duce. L’operazione Quercia, dunque, non sarebbe stata una forzatura contro l’Italia, bensì il frutto di un’intesa sotterranea tra chi voleva disfarsi di Mussolini… senza sporcarsi le mani.
È un’ipotesi che stravolge la narrazione tradizionale, ma che si lega coerentemente con le dinamiche del tempo. In un’Italia confusa, divisa, frammentata, le verità ufficiali avevano spesso il sapore della propaganda. La storia era scritta da chi poteva permettersi di farlo.
La ricostruzione di Vincenzo Di Michele
Il merito di Vincenzo Di Michele non è solo quello di sollevare dubbi, ma di offrire una lettura documentata, coerente e radicalmente diversa dei fatti. Il suo sguardo non si accontenta dei racconti ufficiali: va oltre, cerca i dettagli trascurati, interroga le fonti senza timore.
Nel libro Quel falso mito sulla liberazione del Duce, l’autore smonta con precisione chirurgica la retorica che ha avvolto l’episodio della liberazione del Duce, proponendo un’analisi storica che mette in crisi il lettore più attento. Non per spirito polemico, ma per esigenza di verità.
Possiamo certamente affermare che questa vicenda, raccontata con tale chiarezza e rigore, imponga una revisione profonda della memoria storica italiana. Non si tratta solo di un episodio isolato, ma di un nodo centrale attorno a cui si riorganizza la narrazione della guerra, della Resistenza, della nascita della Repubblica.
Ciò che emerge, alla fine di questo percorso, è una lezione scomoda ma necessaria: la Storia non è mai neutra. Viene costruita, stratificata, manipolata. E solo chi ha il coraggio di sfidare le versioni comode può davvero avvicinarsi alla verità.
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