Seconda guerra mondiale: la liberazione di Mussolini e la nascita della Repubblica Sociale Italiana
La narrazione sulla seconda guerra mondiale ha mitizzato la liberazione di Mussolini sul Gran Sasso: servizi segreti, alianti eroici, il decollo avventuroso del pilota Gerlach con Mussolini e Skorzeny a bordo. Una trama perfetta per i media di allora e per la propaganda nazista. Ma approfondendo documenti e testimonianze, emergono tasselli che ridimensionano quell’evento. Tutto questo non nega la riuscita dell’operazione: la contestualizza, spostando l’attenzione dalla leggenda alla dinamica reale che porta, in linea retta, alla nascita della Repubblica Sociale Italiana (RSI).
Questo articolo è ispirato a dal libro “Quel falso mito sulla liberazione del duce” di Vincenzo Di Michele, che offre una rilettura documentata e critica degli eventi del 12 settembre 1943 e di ciò che ne seguì.
Il mito e la propaganda nazista
L’atterraggio degli alianti tedeschi a Campo Imperatore fu spettacolare: unico, filmabile, da mettere in prima pagina. È qui che la propaganda si innesta. Secondo la ricostruzione di Di Michele, il dispositivo scenico era pronto: operatori a riprendere, fotografie a immortalare, un racconto epico perfetto per “conquistare il pubblico”. In breve: la liberazione del Duce diventa un successo di comunicazione, il segnale di forza che Berlino cercava in un momento critico della guerra. Il mito di Skorzeny è da ridimensionare a eroe funzionale di una narrazione di potenza, più che regista di un assalto disperato. Punto decisivo: la mancata resistenza italiana e l’assenza di vittime non combaciano con l’idea del fortino inespugnabile. Combaciano, invece, con un’azione lampo a basso attrito, capace di massimizzare l’effetto politico e mediatico.
L’8 settembre: tra armistizio e intese non scritte
L’armistizio dell’8 settembre costringe il governo italiano a giocare due partite. Sul tavolo ufficiale, la resa senza condizioni agli Alleati; su quello non ufficiale, rapporti ancora aperti con i tedeschi. Fatti noti lo confermano (il passaggio verso Brindisi di Badoglio, del Re e dei ministri; l’imbarco sulla Baionetta), ma c’è un tassello in più: Mussolini, prigioniero di altissimo valore politico. Di Michele indica una possibilità concreta: una “consegna” concordata, senza carte e senza tracce, usando armi sleali (ricatti, minacce, ostaggi) come strumenti di garanzia reciproca. Se l’obiettivo è evitare spargimenti di sangue, allora la consegna del Duce ai tedeschi diventa la soluzione con il minor costo immediato per tutte le parti in causa.
Un’operazione a basso attrito
La sera dell’11 settembre, riferiscono gli agenti, arriva l’ordine di togliere le mitragliatrici dal tetto e di mettere i cani in cantina. Il giorno dopo, nessun piano di difesa, nessun ordine di reagire. Risultato: quando gli alianti toccano il pianoro, tutto si chiude in pochi minuti. È in questo clima che Nasce la scena simbolo di questa vicenda: nella hall dell’albergo, armi a tracolla e toni pacifici, il generale Soleti intima per due volte a Skorzeny di restituirgli la pistola; dopo un attimo di esitazione, Skorzeny obbedisce. Che cosa ci dice questo dettaglio? Che gli italiani avevano rispettato i patti: Mussolini era stato consegnato. Da lì in poi, il focus tedesco è uno solo: esaltare l’impresa per perseguire scopi propagandistici e rilanciare il fronte politico.
Dalla liberazione alla RSI, Repubblica Sociale Italiana
Alla fine, ognuno torna a casa con una vittoria. I tedeschi portano Mussolini al cospetto del Führer e avviano la Repubblica Sociale Italiana; gli italiani evitano ritorsioni, salvano ruoli e facce, aderendo alla versione comoda: assalto travolgente, nessuna possibilità di reazione. Dietro le quinte, resta la diffidenza reciproca (il generale Soleti caricato su un aliante come ostaggio ne è la prova), ma il copione funziona: la leggenda dell’impresa si consolida, i dettagli stonati vengono accantonati. È la propaganda a vincere la partita della memoria, mentre la storia raccolta da Vincenzo Di Michele nel suo libro rimette i pezzi al loro posto.
Non sempre le verità si decidono a maggioranza
La lezione è essenziale: non sempre le verità si decidono a maggioranza. Testimonianze secondarie diventano decisive per storcere il collo alla retorica. Il vero punto fermo non è negare l’abilità tedesca o l’importanza dell’evento, ma ricondurli alla giusta scala: un’operazione a basso attrito, preparata anche per essere filmata, riuscita perché favorita da un contesto politico e militare disarticolato. La liberazione di Mussolini non è solo un colpo da manuale: è il perno di un’operazione politico-mediatica che apre la strada alla Repubblica Sociale Italiana. Capirlo non sminuisce la storia: la chiarisce. E restituisce responsabilità a chi scelse il racconto comodo, lasciando che la propaganda facesse il resto.
